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COP27: trovare linee d’azione comuni è un’utopia?

Una riflessione di buon senso sulla 27esima edizione della COP, apertasi a Sharm El Sheikh, in Egitto, il 6 novembre 2022 e chiusasi il 20 novembre con due giorni di ritardo sulla tabella di marcia.

Chi ha tempo non aspetti tempo

È questo uno dei principi alla base di ogni buon modello economico. Tracciando un bilancio delle 27 edizioni della COP che si sono succedute a cadenza annuale dal 1995 a oggi, bisogna ammettere che purtroppo questo famoso detto non è stato assunto come motto dai Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC), che è all’origine della Conference of Parties, la COP appunto. 

Tra il dire e il fare… 

… c’è di mezzo un mare di contraddizioni.
Una su tutte è che la Convenzione nasce per contrastare i cambiamenti climatici – idealmente con decisioni unanimi – mentre si tende a rimandare o a ridimensionare gli interventi che potrebbero permetterci di uscire da una perdurante crisi climatica che ci sta costando cara sia a livello economico che in termini di perdita di vite umane.

Il modello economico globale è diventato insostenibile e ha spezzato un equilibrio delicato. Il che avrà delle conseguenze non irrilevanti che nonostante tutto, però, sembrano non spaventarci. Eppure, non esiste un piano B che possa scongiurare la catastrofe, come rocambolescamente accade nella migliore tradizione del cinema d’azione. 

Il bicchiere mezzo vuoto 

GoodCom, un’agenzia di comunicazione che crede nella sostenibilità come chiave del cambiamento, si aspettava maggior lungimiranza riguardo al destino del pianeta. Invece, il documento finale presenta provvedimenti poco ambiziosi e una road map con un ritmo d’azione lento, senza inversioni di rotta a breve termine per prevenire catastrofi ambientali in atto, come scioglimento del permafrost, aumento dei gas serra, innalzamento dei mari, estinzione di specie e fenomeni atmosferici estremi.

Procrastinazione e compromessi alla COP27

Insomma, si continua a procrastinare: sappiamo che per evitare il peggio dovremmo fare tutto il possibile per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra e limitare il riscaldamento terrestre al di sotto di 1,5 °C. Eppure, alla COP27 alcune nazioni si sono opposte all’intenzione di includere nella dichiarazione finale l’obiettivo degli 1,5 °C. Alla fine ha prevalso il buon senso ma resta il fatto che, per restare al di sotto di questa soglia, sarebbe necessario dimezzare le emissioni nocive entro questo decennio, cosa molto improbabile se non addirittura impossibile visto l’atteggiamento che alcune nazioni hanno assunto al summit di Sharm-El-Sheikh. I “petrostati”, ad esempio, non hanno voluto saperne di mettere nero su bianco un accordo vincolante per la riduzione graduale dei combustibili fossili. È comprensibile ma non condivisibile che i Paesi che li producono non abbiano interesse a premere sull’acceleratore della transizione ecologica. Purtroppo, alla COP27 la parola d’ordine è stata ancora una volta “compromesso. 

Il bicchiere mezzo pieno 

L’accordo sul fondo di compensazione Loss & Damage raggiunto in Egitto per i Paesi in via di sviluppo più colpiti dal cambiamento climatico rappresenta un passo verso la giustizia climatica. I Paesi industrializzati, responsabili di maggiori emissioni nell’ultimo bicentenario, dovranno assumersi le proprie responsabilità. Tuttavia, è stato necessario prolungare il summit per raggiungere l’accordo, senza stabilire numeri o date specifiche.

Un altro motivo di soddisfazione è il fatto che le energie rinnovabili sono entrate per la prima volta nel testo di una COP. Speriamo che questo dia un’ulteriore spinta alla loro diffusione. 

Conclusioni…

Ora toccherà alla prossima Conferenza delle Parti sul clima mettere in discussione il ruolo dei combustibili fossili. Ma la strada è prevedibilmente tutta in salita, dato che i negoziati del 2023 saranno nuovamente ospitati da un Paese tra i maggiori esportatori di petrolio al mondo, gli Emirati Arabi Uniti. Tra i rinvii, i tentennamenti, i dietro-front e le aspettative deluse che hanno contraddistinto le 27 edizioni della COP, e in particolare l’ultima, la vera battaglia per un futuro sostenibile sembra non essere nemmeno cominciata. 

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